AMA PARLA CON…FRANCESCA PANIZZO
AMA condivide con voi una serie di interviste agli esperti del mondo dell’infanzia. Iniziamo con Francesca Panizzo, consulente educativa che si ispira al metodo Montessori, mediatrice familiare e mamma.
Appassionata di albi illustrati, attraversata da una profonda fiducia nel cambiamento.
Alighiero Boetti aveva intitolato una sua opera “mettere al mondo il mondo”.
Per noi è la più bella dichiarazione di una nuova vita. Cosa è per te il momento della nascita?
Nascere alla vita ha un significato profondamente simbolico che comporta un passaggio dal conosciuto, il ventre materno, al non ancora conosciuto, il mondo. All’inizio, di quel mondo fanno parte quasi esclusivamente la madre, il padre, fratellini e sorelline, ma anche luce, suoni e odori. Non è un passaggio graduale, ma un gettito e richiede un’accoglienza che va preparata nell’anima, nel corpo e nell’ambiente. Il bambino che porta il suo mondo nel mondo richiede reciprocità in un continuum tra bisogno e soddisfacimento di quel bisogno.
Sono tanti i mondi possibili che il bambino porta con sé. Per questo io sono a disposizione delle mamme e dell’intero nucleo familiare, per sostenere la costruzione della relazione, per far emergere la potenzialità degli adulti che si occupano del bambino, per trovare equilibri, non sempre facili da raggiungere. Per offrire consigli pratici sull’accudimento e per trovare le strategie migliori per fronteggiare le varie fasi di sviluppo.
Quali sono le paure delle mamme che si rivolgono a te? Come le aiuti?
Con le mamme che si rivolgono a me, parto sempre dal presupposto che sono – e rimangono loro – le massime esperte del loro bambino. Accolgo le loro paure e i loro vissuti di inadeguatezza, la loro solitudine, la loro difficoltà a tenere tutto insieme, famiglia e lavoro. Le aiuto attraverso il dialogo, l’ascolto e il non-giudizio a riconoscersi capaci, adatte, all’altezza, a tenere a bada i sensi di colpa. Le affianco per impostare una buona routine del sonno, per capire come maneggiare con cura un neonato per il cambio o per il bagnetto, per vivere serenamente l’allattamento, lo svezzamento, la selettività rispetto al cibo, l’ambientamento al nido, il rientro al lavoro, ecc.
Ho predisposto i miei servizi di consulenza e i miei percorsi di accompagnamento alla nascita come veri e propri spazi emotivi in cui le madri possano sentirsi libere di esprimersi e, soprattutto, dove possano sperimentare in prima persona la cura e l’accoglienza.
Abbiamo letto sul tuo sito la frase che ‘l’educazione fa biologia”. Cosa intendi?
“L’educazione fa biologia” rappresenta un primo esercizio di consapevolezza per gli adulti che accolgono la vita. Dobbiamo essere consapevoli che il modo in cui tocchiamo un bambino, le parole che usiamo, il tono di voce, le proposte che facciamo, l’ambiente che trova, agiscono sul suo cervello e vanno a costruire la connessione tra le cellule nervose. Queste connessioni nervose raggiungono il loro apice nei primi mille giorni di vita e diventano permanenti: il terreno fertile per lo sviluppo psicomotorio del bambino.
Maria Montessori ebbe questa intuizione più di un secolo fa semplicemente osservando i bambini nell’ambiente; oggi le neuroscienze ce lo hanno confermato grazie a sofisticati sistemi di neuroimmagine. Saperlo ci aiuta a prepararci, ci aiuta a comprendere come agire in funzione di un sano e sereno sviluppo.
Ci aiuti a capire come si forma l’identità di ogni bambino?
L’identità del bambino si costruisce attraverso lo sguardo, la cura, l’attenzione, la relazione con gli adulti di riferimento e, gradualmente, con il mondo esterno. Il bambino riceve continuamente un rimando da tutto ciò che è fuori e questo rimando viene codificato come risposta ai bisogni interiori e alle sue energie psichiche. Un bambino che viene lasciato piangere per lungo tempo penserà che il suo pianto non abbia alcun valore e smetterà, con un’importante ricaduta sulla sua autostima. Un piccolo che viene costantemente sostituito dall’adulto nelle cose che potrebbe fare da solo avrà un’immagine di sé inadeguata. Un bambino a cui viene impedito il movimento e l’esplorazione avrà difficoltà a percepire il proprio corpo e farne veicolo per entrare in relazione con l’altro. Questi sono soltanto alcuni esempi che ci aiutano a comprendere quanto sia fondamentale predisporre un ambiente che nutra i bisogni del bambino.
Che ruolo gioca l’ambiente per la crescita di un bambino?
L’ambiente in cui cresce un bambino è fondamentale per il suo sviluppo. Per ambiente intendo sia quello fisico, fatto di giochi, materiali e attività ma anche quello relazionale, fatto di gesti, cura, attenzione, emozioni, sguardo. Il bambino è dotato di una mente assorbente capace di trasformare tutto ciò che trova nel suo ambiente in competenze e in intelligenze: è compito di noi adulti predisporlo con cura affinché risponda ai bisogni reali del bambino.
Viviamo in un’epoca in cui i bambini e le bambine vengono sottoposti ad un eccesso di stimoli e hanno difficoltà di concentrazione e attenzione; possiedono tanti giochi ma provano interesse reale per poche cose; abbiamo poco tempo da dedicare, anche se credo sia la qualità e non la quantità, a fare la differenza.
Bisognerebbe rallentare un attimo, fermarsi ad osservare il bambino che abbiamo davanti e offrirgli delle proposte adatte: fare cose con le mani, travasare, tagliare, incollare preparare una torta, vestirsi da soli, dipingere, sporcarsi, correre, rischiare di farsi anche male. La mano è l’organo dell’intelligenza secondo Maria Montessori e purtroppo oggi ai bambini viene permesso di usare le mani sempre meno. Bisognerebbe partire proprio da qui: dal fare con le mani, offrendo fiducia ai bambini e alle bambine.
Che ruolo hanno i giocattoli per i bambini da 0 ai 3 anni?
Giocattoli e gioco sono il lavoro dei bambini e delle bambine in questa fascia di età. Giocare è una cosa seria, necessaria e imprescindibile, che consente al bambino di costruire l’intelligenza, il linguaggio, il movimento. Inoltre, attraverso il gioco si acquisiscono abilità sociali e la capacità di problem solving. Il bambino è concreto, non possiede ancora la capacità di astrazione: ha bisogno di vedere, toccare, fare, muoversi e questo è possibile attraverso il gioco.
Il richiamo che il bambino riceve dalle cose, la ricerca di uno scopo nel fare, il suo tentare e ritentare, ci dicono che il bambino sa, è attivo e al centro del processo educativo! Osservarlo quando prova soddisfazione nel ripetere gesti in cui si sente capace o quando scopre la connessione tra le cose è tra gli spettacoli più affascinanti che la vita ci offre! Il gioco ha un profondo valore educativo poiché rappresenta la porta d’accesso ai significati, alle emozioni, agli interessi, ai bisogni e alle competenze.
I giocattoli devono essere ‘stimoli’?
I giocattoli, a mio avviso, sono risposte ai bisogni di crescita del bambino, mentre lo stimolo a fare viene da dentro. Noi, come adulti, viviamo spesso un delirio di onnipotenza nei confronti del bambino: il piccolo si costruisce da sé, noi dobbiamo sostenerlo nella crescita. Rispondere, quindi, non stimolare! Saper leggere il bambino, il nostro bambino, quello che abbiamo davanti, per offrirgli le risposte di cui ha più bisogno. La prospettiva da cui osserviamo fa la differenza: dal basso verso l’alto e non il contrario. Mettersi all’altezza del bambino aiuta anche noi adulti a crescere nella relazione.
Che ruolo hanno i mobiles per i bebè?
I mobiles sono dei veri e propri dispositivi educativi che possiamo utilizzare dalle prime settimane di vita per consentire al bambino l’esplorazione visiva e per favorire l’attenzione e la concentrazione. A differenza delle classiche giostrine poste sopra la culla, vanno proposte ai bambini in stato di veglia e in un ambiente silenzioso per evitare un eccesso di stimoli poco funzionale per lo sviluppo. È fondamentale isolare le sollecitazioni che offriamo ai bambini soprattutto ai neonati, per evitare di sovraccaricare il loro sistema nervoso ancora immaturo. Il movimento di oggetti leggerissimi e lo spostamento dell’aria sono sufficienti per sostenere lo sviluppo visivo in questa delicata fase di crescita.
Un altro concetto un po’ in disuso anche tra noi adulti (come tra i ragazzi e i teen) è quello di errore.
Sbagliare significa imparare, crescere? Come?
Da montessoriana ritengo che l’errore sia un maestro che ci consente di misurarci con il limite e superarlo. Il bambino per imparare a camminare deve poter cadere. Per imparare a mangiare da solo, deve potersi sporcare. Per trasportare un oggetto, deve poter correre il rischio che questo cada e si rompa. Il punto è offrire occasioni per poter rimediare; i materiali montessoriani sono pensati per consentire al bambino di accorgersi di aver sbagliato e per poter rimediare da sé, senza bisogno dell’intervento dell’adulto e per favorire la capacità di autovalutazione, competenza che diverrà poi fondamentale nel mondo del lavoro.
Siamo abituati a essere valutati dall’esterno, spesso con conseguenze distruttive per l’autostima, soprattutto negli adolescenti; viviamo in una società che richiede la performance a discapito della persona. Il processo di apprendimento è sempre individuale: poter valorizzare la crescita e il cambiamento in maniera autentica, senza dover rispondere a degli standard; credo sia questa la strada per poter essere felici e crescere bene.
Cosa intendi quando scrivi “genitori incompleti”
Il bambino nasce “incompleto” perché il suo cervello ha bisogno di un lungo processo di maturazione per costruire il movimento, il linguaggio, il modo di stare in relazione con gli altri. Anche noi genitori nasciamo “incompleti”: il bambino non esce dalla pancia della mamma con il manuale di istruzioni; abbiamo bisogno di tempo per conoscerci, comprenderci, legarci. La nascita non fa di noi “genitori” in automatico: è importante stare nel processo di crescita e di cambiamento e assumersi la responsabilità della relazione. Se dovessi offrire ai neogenitori tre parole chiave per nascere come genitori sarebbero: osservazione, cura dell’ambiente e fiducia nelle competenze del bambino.
Ci ha affascinato la tua idea di essere come un gingko biloba. Ce lo spieghi?
Il gingko biloba è una pianta molto resistente, addirittura è l’unica specie sopravvissuta al bombardamento di Hiroshima.
Le sue foglie sono molto affascinanti perché sono doppie e mi fanno pensare alle dicotomie nell’essere umano: la mente e il corpo.
Ci vedo anche un richiamo al doppio ni noi: gli emisferi cerebrali che necessariamente devono parlarsi e contaminarsi, come due amanti.
Ecco, queste foglie mi fanno pensare all’armonia di cui tutti noi abbiamo bisogno per stare bene con noi stessi e con gli altri.
In autunno diventano gialle e dorate, così come noi dovremmo farci luce per illuminare il nostro percorso e quello delle persone che incontriamo.
Quando ho scoperto che il gingko biloba viene utilizzato come integratore, ho pensato che la metafora che mi lega a questa pianta non fosse così lontana dalla realtà. Eppure, i frutti di questa pianta producono un odore nauseabondo! Ho trovato che questo fosse un monito a cercare la bellezza nell’imperfezione. Un invito a perdonarci quando non rispondiamo alle aspettative. Un’esortazione a valorizzare i nostri lati positivi e a prendere spunto dai nostri difetti.
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